Nairobi, 3 maggio 2020
Il coprifuoco
Le grandi piogge sono iniziate ormai da due mesi ed ha diluviato tutta la sera. Il vecchio Land Rover Ambulanza si muove in un mare di fango illuminato solo dai fari. Se Johnny l’autista non ci fosse nato nello slum di Mathare Valley, sarebbe impossibile trovare il passaggio giusto ed il vicolo con la baracca dove recuperare la paziente in travaglio. L’ambulanza ha passato indenne il posto di blocco di poliziotti e militari. Altri ventun giorni di coprifuoco sono stati imposti. La gente ha paura di questo linguaggio bellico perchè non sono solo parole, ma espressione di violenza reale che ha già causato varie vittime. E nel frattempo sulla pandemia continuano a non esserci statistiche affidabili. Pochissimi tamponi effettuati di cui circa 400 positivi al Covid. Il 3% circa dei test fatti. Se crediamo a questi dati, e li riportiamo sulla sola popolazione di Nairobi, dovremmo pensare ad almeno 150.000 positivi. Nessuno è in grado di dirlo. Asintomatici? Paucisintomatici? ma con tanti altri problemi a cui pensare. Sintomatici? ma che si rivolgono a piccoli clinic e farmacie degli slum e non vanno in ospedale per paura di essere trasferiti e reclusi nei centri di isolamento che secondo molte testimonianze assomigliano più a delle prigioni che a dei reparti ospedalieri. Ci sono immagini di fughe notturne di decine di internati sospetti positivi che saltano il muro e scappano dai centri. Per ora 21 pazienti deceduti. Ma per molti altri è difficile essere sicuri della causa di morte. Questo da sempre. Chi muore nelle baraccopoli oppure nei villaggi più sperduti, spesso non rientra in nessuna categoria diagnostica non essendo stato assistito medicalmente. Da cui l’incerta epidemiologia di questi paesi.
È il terzo coprifuoco che vivo. Il primo era stato sul confine etiopico quando il dittatore Menghistu cadde nel 1992 e bande di irregolari assalivano i villaggi. Sparavano fuori dall’ospedale. Mia moglie con nostro figlio neonato chiusi in casa, io in ospedale. Poi venne il coprifuoco, in tutto il Kenya, dei primi mesi del 2008, dopo le elezioni presidenziali. Scontri interetnici con migliaia di morti. Le baraccopoli bruciavano e corpi decapitati sulle strade. Ed adesso questo coprifuoco. Ma questa non è una guerra. È un’altra epidemia, che si aggiunge a tante altre malattie endemiche, ad altri problemi medici che ogni giorno mettono in luce le carenze dei sistemi sanitari dei vari paesi, e soprattutto l’assenza di uno stato sociale nella gran parte dei paesi a Sud del Mondo. Scarsi investimenti per la salute e l’educazione. Mentre succede il contrario, con un costante aumento delle spese militari per la cosiddetta sicurezza nazionale. Questo fa capire la scelta più immediata e facile di meccanismi repressivi e di controllo della popolazione. E la pandemia non solo non ha fermato la diffusione delle altre malattie, ma neanche le guerre del pianeta. La prima cosa da fare sarebbe stata una moratoria mondiale dei conflitti armati. Purtroppo anche in Italia, non si è preso in considerazione che le fabbriche militari dotate di altissima tecnologia potessero produrre apparecchi medicali come ventilatori e strumentazioni da terapia intensiva. Anzi l’azienda che assembla gli aerei da combattimento F35 è stata tra le prime a riprendere l’attività. Uno spiraglio di luce in questo scenario è stato la riconversione di una piccola parte di una famosa fabbrica d’armi che si è messa a produrre mascherine. Il pensiero va al profeta Isaia “Trasformeranno le loro spade in aratri e le lance in falci”(Is2,1-5). Parole troppo importanti per una piccolissima azione forse più legata al profitto che all’etica? Può darsi, ma prendiamo questo raggio di speranza come dimostrazione che la riconversione è possibile, e puo’ essere efficace non solo dal punto di vista umanitario ma anche economico. Ri-conversione. Il termine conversione è la fusione di due concetti: pentimento e cambiamento. Questo tempo di silenzio e di riflessione è un’occasione straordinaria di pensare alla riconversione, a nuovi investimenti in lavori più etici, produzioni più al servizio dell’uomo.
Siamo all’inizio di un’altra lunga notte di coprifuoco. L’ambulanza esce dallo slum con il suo prezioso carico di vita. Guadagna la strada asfaltata e raggiunge la maternità dell’ospedale. La giovane ragazza partorisce poco dopo senza complicanze.