Sono 42 i casi confermati di COVID-19 in Kenya al 30 marzo 2020. In questo momento è importante attuare tutte le misure fondamentali per minimizzare ogni rischio di diffusione dell’infezione. Lo staff di World Friends e del Ruaraka Uhai Neema Hospital ha già predisposto una serie di misure precauzionali per ridurre e bloccare il rischio di contagio tra i propri pazienti, la maggioranza provenienti dal complesso contesto delle baraccopoli di Nairobi nord-est. Abbiamo intervistato il Dr. Washington Njogu, direttore sanitario del R.U. Neema, e la D.ssa. Maria Vittoria De Vita, pediatra presso il R.U. Neema, per avere ulteriori aggiornamenti sulla situazione.
Buongiorno, vorremmo sapere di più sul vostro ruolo all’interno del R.U. Neema.
Dr. Washington Njogu: Sono il direttore sanitario dell’Ospedale, ho responsabilità cliniche e svolgo alcune funzioni amministrative nella gestione dei servizi. Ho una specializzazione in Igiene e Sanità Pubblica, conseguita a Nairobi nel 2009, che da sempre mi ha aiutato a svolgere questo ruolo all’interno dell’Ospedale.
Grazie al percorso iniziato come managment team con Safe Care (sistema di certificazione della qualità dei servizi che prevede protocolli specifici, ndr), ora mi rendo conto di come i protocolli implementati vengano seguiti autonomamente dal personale sanitario: sono state create delle commissioni per il controllo qualità, lo staff prende iniziative e supporta la direzione centrale nel seguire le raccomandazioni suggerite dal governo, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dai consulenti ed esperti che collaborano con noi.
D.ssa Maria Vittoria De Vita: In parallelo al lavoro clinico che svolgo nei Reparti di Pediatria e Neonatologia, mi occupo di Sicurezza e Qualità, in collaborazione principalmente con il Dr. Morino, con il direttore sanitario, Dr. Njogu, e con Rose, responsabile dei servizi infermieristici. Grazie a documenti e linee guida ricevuti da esperti locali e internazionali abbiamo implementato dei protocolli procedurali per migliorare controllo e prevenzione delle infezioni e per garantire un costante miglioramento della qualità dei servizi ospedalieri, mantenendone l’accessibilità per tutti.
L’Ospedale ha già attivato delle misure di sicurezza per bloccare e ridurre il livello di contagio. Quali sono state queste misure? Quali i bisogni e le criticità?
Dr. Njogu: Abbiamo immediatamente adattato le misure suggerite dall’OMS per rispondere a un’eventuale emergenza e abbiamo prodotto una checklist in continuo aggiornamento. In questo momento abbiamo cominciato con un servizio di triage all’ingresso e ci stiamo concentrando sulla divisione dei pazienti sospetti dal flusso normale di ingresso, per ridurre il rischio. Secondo le direttive ministeriali, per ora inviamo i casi sospetti negli ospedali governativi di riferimento, il Kenyatta National Hospital e il Mbagathi Hospital. Stiamo rivedendo e riadattando i servizi ospedalieri per essere pronti nel caso in cui il governo ci dovesse chiedere di assistere pazienti con possibile o confermata infezione: in particolare stiamo allestendo un’ala dell’ospedale per l’isolamento.
D.ssa De Vita: L’Ospedale avrebbe bisogno di implementare un servizio per stabilizzare ed eventualmente ammettere i pazienti affetti da COVID-19, qualora i numeri aumentassero, fosse anche solo creare un’unità con cure di base, come ossigenoterapia associata all’utilizzo dei farmaci attualmente raccomandati. In questo momento non siamo in grado di gestire pazienti che richiederebbero cure intensive e siamo preoccupati di capire quali saranno le nostre categorie vulnerabili o i pazienti a rischio di complicanze.
Immaginiamo che la vostra attività ordinaria a servizio dei pazienti del Ruaraka Uhai Neema Hospital sia cambiata in questi giorni, anche in vista delle nuove norme di sicurezza per limitare i contagi del virus. In che modo?
Dr. Njogu: In prima persona, ma anche come responsabile clinico cerco di seguire e di far rispettare allo staff le raccomandazioni generali di prevenzione, come l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, ma mi sto anche occupando di formare medici e infermieri per facilitare il l’eventuale diagnosi di casi di COVID-19. Infine, ho la responsabilità insieme al comitato di prevenzione e controllo delle infezioni, di aggiornare i nostri protocolli secondo quanto viene comunicato a livello nazionale e internazionale.
D.ssa De Vita: In stretta continuità con quanto sottolineato dal Dr. Njogu, siamo una squadra in comunicazione costante, per cercare di ridurre i rischi per il nostro staff, ma anche per garantire un servizio adeguato senza incrementare i contagi. La risposta del personale e dei pazienti è ambivalente: sono spaventati, ma anche recettivi e stiamo cercando di agire a quel livello. Diciamo ai pazienti di recarsi in ospedale in caso emergenza, ma chiediamo di rispettare le norme igieniche per separare un percorso pulito da uno sporco in ospedale; sosteniamo lo staff perché mantenga alta l’attenzione e al contempo non dimentichi di fornire le corrette informazioni ai pazienti e ai colleghi. Ci supportiamo a vicenda con l’amministrazione, favorendo la sinergia tra competenze cliniche e gestionali.
La diffusione del COVID-19 sta ormai interessando più paesi in Africa e in Kenya, ad oggi, sono stati confermati 42 casi. Quali sarebbero le conseguenze per la popolazione e il sistema sanitario nel Paese se il contagio dovesse ampliarsi?
Dr. Njogu: Guardiamo all’esperienza cinese e europea, e sicuramente italiana, cercando di trovare soluzioni che si possano adattare in Kenya, anche grazie al sostegno di medici impegnati in Italia. Abbiamo speranza che il nostro paese, come in precedenti situazioni, possa adottare un piano di emergenza rapido per la gestione di un’eventuale epidemia, ma temiamo molto che il nostro sistema povero di risorse possa non sostenere un elevato numero di casi: non abbiamo un numero sufficiente di posti di terapia intensiva negli ospedali pubblici, accessibili per la maggior parte della popolazione e non sappiamo quali saranno i nostri pazienti a rischio, considerando l’elevata prevalenza di malattie non infettive e di altre possibili complicanze, come HIV, tubercolosi e malnutrizione. Abbiamo una popolazione piuttosto giovane, ma non siamo sicuri che questo sia sufficiente, come suggerito dai maggiori esperti di sanità pubblica mondiale.
D.ssa De Vita: È davvero difficile pensare ad isolamento e quarantena in un contesto come gli insediamenti informali. È essenziale che le misure di contenimento siano accettabili e ben comunicate alle comunità e non percepite come oppressive, per evitare tensioni sociali. Nel caso si riesca ad accedere a fondi di emergenza, speriamo che le organizzazioni umanitarie come World Friends possano sostenere il governo nella fornitura di servizi pubblici, potendo contribuire in modo significativo al controllo delle infezioni (ad esempio istituendo sistemi per garantire igiene, come acqua e sapone) oppure sostenendo i mezzi di sussistenza di base, supportando i comitati di assistenza locali e rafforzando le cure mediche dedicate ed eventualmente mobili.