Intervista a Ilaria Zaccone realizzata dal Green Team, il gruppo di giovani coinvolto nel progetto Cambio Rotta.

Quante volte ci capita di vedere volare le api nei pressi dei balconi o dei giardini delle nostre case alla ricerca di nettare e polline? Se potessimo seguirle fino alle loro arnie scopriremmo che la gran parte proviene da aziende o privati impegnati nel settore dell’apicoltura.

In una giornata soleggiata di novembre noi del Green Team del progetto Cambio Rotta abbiamo potuto conoscere un po’ più da vicino questi piccoli animali grazie ad Ilaria Zaccone, una giovane apicoltrice di Nizza Monferrato che da anni porta avanti con passione e cura questo mestiere.

Il nostro obiettivo era di comprendere quanto le api nell’area dell’Alto Monferrato risentano degli effetti del cambiamento climatico, considerato il loro importante ruolo ecologico ed economico in qualità di impollinatori.

 arnie in monferrato 

Infatti, il 75% delle principali colture agrarie e circa il 90% delle piante selvatiche dipendono dagli impollinatori per trasferire il polline da un fiore all’altro e riprodursi. Si tratta di dati che mettono subito in evidenza lo stretto legame che unisce queste due parti.

Tuttavia, ben noto è il loro declino che è associato ad una serie di pressioni ambientali, tra cui la frammentazione dell’habitat, l’introduzione di specie invasive, l’impiego di agrofarmaci, il cambiamento climatico ed altre alterazioni alla cui base troviamo, più o meno direttamente, le attività umane. Le api sono diventate il simbolo di diverse iniziative di conservazione degli impollinatori, in tale categoria ricordiamo come annoverino anche altre specie dalle farfalle ai pipistrelli. Tuttavia, la specie più conosciuta e popolare è sicuramente Apis mellifera, ovvero l’ape da miele, che alleviamo da tempi antichissimi. Se parliamo di impollinatori probabilmente è proprio questa specie la prima a venirci in mente, ma è minacciata tanto quanto le specie selvatiche? Quanto risente delle alterazioni da noi apportate all’ambiente?

arnie e apicoltori in monferrato

Davanti alle sue arnie Ilaria ha tolto ogni nostro dubbio, raccontandoci di lei e delle sue api con voce calma e gentile, quasi a non voler disturbare le piccole operaie che affannosamente andavano e venivano da ogni alveare.

Cosa vuol dire essere apicoltrice e cosa ti ha spinta a diventarlo?
<<Ho iniziato questa attività otto anni fa con mio papà dopo aver dato un esame di entomologia. Sono appassionata al mondo degli insetti, in particolare degli imenotteri. Abbiamo iniziato con poche casette con il desiderio di condividere qualcosa insieme. Abbiamo lavorato a stretto contatto per un po’ di anni, poi ho preso in mano l’attività che ormai gestisco da sola. È un lavoro che fai se sei mosso da pazienza e passione. Per me essere apicoltrice significa trovare un senso anche ai miei valori, come il rispettare e promuovere la biodiversità, insieme al fare qualcosa per l’ambiente e sentirmi, seppur in piccola parte, artefice di un piccolo cambiamento. >>

Quali sono gli effetti più evidenti del cambiamento climatico sulle tue api? Potresti darci sia una lettura oggettiva del fenomeno che delle tue impressioni personali. Come ti fa sentire l’idea che loro possano soffrirne?

<<L’effetto più evidente a cui ho potuto assistere è stato un vuoto, da aprile a luglio, delle risorse da cui le api attingono, che sono ovviamente nettare e polline. Questo deficit impatta sull’alveare perché ne ritarda lo sviluppo e concorre al manifestarsi di malattie. Ovviamente, si ha anche una riduzione nella produzione di miele. Quando mi è capitato di assistere a perdite di alcuni alveari lontani dalla mia postazione base, in certi casi per fame, ho sentito uno sconforto ed un senso di impotenza che mi ha colpito molto. Mi ha fatto capire come su delle variabili io possa influire, ma fino ad un certo punto. Oltre ad una certa soglia non riesco più a far fronte al benessere delle mie api. Quando le vedi crescere per tutto l’anno ed assisti a qualcosa di simile provi un senso di impotenza e di scoramento. Ovviamente, si impara sempre dagli errori ed ogni anno si impara qualcosa dalle api. Non c’è un anno uguale all’altro, non c’è tutta questa prevedibilità, ogni anno cambia il mosaico. Sicuramente l’apicoltura ti dà un gran bagaglio personale, perché come uomo inizi a porti dei limiti che non ti fanno sentire onnipotente.>>

Sicuramente il cambiamento climatico ha il suo peso significativo, ma concorrono anche altri fattori come la perdita di habitat, diverse malattie e l’impiego di agrofarmaci nel mettere a rischio le api. Quanto soffrono le tue api di queste pressioni?
<<Mi è successo di assistere alla diminuzione della popolazione di alcuni miei alveari in modo drastico, ma non ho avuto gli strumenti in quelle occasioni per avere la certezza che la causa fosse un trattamento specifico. Tuttavia, l’impatto dell’ambiente monocolturale tipico di queste zone è molto evidente sulle famiglie di api. La soluzione, alla portata di noi apicoltori stanziali della zona, è praticare il più possibile il nomadismo. Il nomadismo occupa parecchio tempo, ma è l’unica risposta che sul breve termine possiamo dare. Poi c’è tutto il discorso di lungo respiro legato ad una sinergia con gli agricoltori, per stabilire una convivenza il più possibile sana e funzionale per tutti. Secondo me il messaggio che sarebbe bello passasse è che non si tuteli solo la biodiversità, ma la si ripristini proprio negli ambienti impattati dalla presenza dell’uomo, tra cui soprattutto le aree agricole.>>

Abbiamo parlato della specie domestica, Apis mellifera. Se la mettessimo a confronto con le altre specie selvatiche o, più in generale, con gli altri insetti impollinatori, questa risulterebbe a rischio estinzione allo stesso modo?
<<Le api allevate non sono a rischio perché le segue l’apicoltore, però se fossero lasciate allo stato brado la colonia tendenzialmente sarebbe destinata a collassare. Il declino degli impollinatori di cui si parla è proprio generico, in quanto c’è perdita di biodiversità che funge da nicchia per tutti gli impollinatori. Forse questo discorso è un po’ mediatico.>>

Parlando di media, ultimamente si sente molto parlare ed è molto pubblicizzata la possibilità di adottare un alveare. Cosa ne pensi a riguardo? Qual è l’impatto positivo reale di una scelta simile sulla biodiversità?
<<Forse promuovere l’adozione di un alveare può creare una sorta di sensibilizzazione, per cui se ne parla di più e si riesce a far arrivare certi temi ad un pubblico più ampio. Dal punto di vista della biodiversità l’adozione forse non sposta molto gli equilibri in un ambiente di campagna, forse in un ambiente urbano lo fa maggiormente. Spesso negli orti urbani sono presenti casette che sopperiscono alla scarsità di impollinatori, assenti in un ambiente ancora più impattato dalla nostra presenza. Sul discorso della sensibilizzazione, invece, credo abbia una influenza positiva.>>

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